La caduta dei giganti

Quella di Rupnik è soltanto l’ennesimo capitolo di una saga che potrebbe essere intitolata “la caduta dei giganti” oppure “lo svelamento del re nudo”. Ovviamente, pur deprecando ogni abuso e violenza, non voglio esprimere considerazioni sulle persone coinvolte in questa triste vicenda ma piuttosto pormi e porre alla comunità ecclesiali alcuni interrogativi. Accompagnati da altrettante premesse.
1. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito non a dei semplici scandali ma a dei veri e propri capovolgimenti laddove è emersa la sfera privata di alcuni considerati autorità per motivi gerarchici o di rinomata fama: fondatori di congregazioni religiose, di movimenti e associazioni, maestre e maestri di grande spiritualità. E probabilmente non si tratterebbe di nulla di nuovo sotto il sole se non fosse nuova – oserei dire per grazia di Dio – la cultura di questo tempo, ormai non più di cristianità. Un tempo in cui la comunicazione non fa sconti a nessuno, dove l’obbiettivo è far emergere notizie occultate, dove il quarto potere in molte situazioni diventa il primo. Perché le gerarchie ecclesiali appaiono ancora incapaci di comprendere pienamente il cambio di paradigma culturale e comunicativo in cui oggi si muovono, combinando veri e propri disastri nel tentativo di minimizzare se non di nascondere tragiche situazioni ? Sono convinto che nessun reo va messo alla berlina e alla pubblica gogna ma sono altrettanto convinto del fatto che solo una giustizia trasparente, equa, capace di ascoltare il grido delle vittime può evitare il ricorso da parte di quest’ultime ai mezzi di comunicazione di massa.
2. Quand’ero bambino spesso prendevo i giornali di enigmistica di mio padre per divertirmi con quel simpatico gioco in cui si dovevano unire i punti fino alla creazione di un divertente disegno. Perché la chiesa cattolica – ognuno parla della sua famiglia, non certamente di quell’altrui – fa così fatica ad unire i puntini e a comprendere che c’è qualcosa che deve necessariamente mutare nel suo rapporto concreto (al di là delle teologie eteree e delle parole spiritualistiche) con la sfera della corporeità e della sessualità? Non è abbastanza significativo il fatto che grandi maestri di spiritualità oltre che consacrati e membri del clero inciampino tutti sulla stessa pietra, una pietra scomoda, che disturba, che si fa finta di non vedere e che spesso, come tutto ciò che viene represso e non realmente elaborato, esplode con la forza di una valanga appena si spengono i riflettori, si svestono i paramenti o si azzera il volume del microfono dopo l’ennesima predicazione?
3. È chiaro a tutti che non esiste abuso o molestia sessuale che non sia frutto e conseguenza di un abuso primario: quello di potere, quello della coscienza. Questa è una verità valida per tutti, non certamente solo per la chiesa. Ma è anche una verità che stride ancor di più nella chiesa se si pensa a ciò che il Maestro di Nazareth afferma nel Vangelo di Matteo al capitolo 23, dopo aver duramente richiamato l’ipocrisia e la doppiezza farisaica: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”. L’esperienza gesuana è infatti senza dubbio un’esperienza di critica al potere che schiaccia l’uomo, potere religioso o politico che sia. L’esperienza di un amore che si oppone ad ogni potere limitante la vita, perfino a quello della morte. Il tratto distintivo di questa sua convinzione e predicazione è senz’altro uno dei motivi predominanti alla base della condanna al patibolo infame a cui il “potere” ha destinato Gesù. Il potere, il dominio, il sentirsi “sacri” o “superiori” a qualcun altro è ciò contro cui Gesù di Nazareth si è scagliato con le parole e con la vita, fino a rappresentarlo plasticamente nel sacramento giovanneo della lavanda dei piedi. Come mai oggi, in un clima culturale che lo consentirebbe e che potrebbe essere molto favorevole ad un passaggio da una religiosità fatta di prescrizioni divine e gerarchie sacre, la comunità cristiana non è capace di compiere un passaggio, di fare un salto in avanti (che in un certo senso potrebbe essere un ritorno alle fonti) diventando un luogo “spirituale” dove le strutture contano meno dell’esperienza di crescita sana nella fede, nella speranza, nell’amore?
Personalmente non so darmi una risposta se non quella per cui il potere non riforma se stesso se non nella misura in cui tale riforma gli consente di mantenere un ulteriore livello di potere possibile. Nel frattempo continueremo a meravigliarci e a stupirci se vescovi, preti e maestri di spirito cadono come tutti. A volte più degli altri. E li continueremo a chiamare “padri” e “maestri” dimenticando che sono solo fratelli, fragili uomini come tutti noi, nulla di più e nulla di meno. Persone che nessun potere sacro (inesistente davanti a Dio ma vero solo per coloro che glielo attribuiscono) metterà al riparo dal fango in cui tutti gli uomini cadono. Il potere. Questo è il re oggi denudato anche nella chiesa. Questo è l’unico, vero, profondo nemico del Vangelo. Solo una chiesa capace di passare dal servizio del potere al potere del servizio (un ossimoro ma unica forma di potere consentito), aiutando gli uomini e le donne del nostro tempo a crescere nella conoscenza di quell’Amore che chiamiamo Dio potrà sopravvivere ai tempi che verranno. E fare del bene a quest’umanità.