Dottrine che sono precetti di uomini

– Omelia per Adista – 

Le parole di Gesù a volte sono compassionevoli carezze, altre invece sono pugni nello stomaco. In genere sono le stesse e identiche parole a generare un effetto diverso in chi le legge, le ascolta, se ne lascia interrogare. E quest’effetto dipende dal proprio posizionamento rispetto crinale della storia.  Così, le parole della pericope odierna rappresentavano (e rappresentano!) un messaggio di liberazione per tutti coloro che erano stati esclusi e marginalizzati dalla comunità a causa del magistero dei farisei e degli scribi che strumentalizzando in modo goffo la legge e i profeti, preservavano privilegi e potere, trincerandosi in ipocrite gerarchie di purezza, basate più sull’esteriorità che sull’adesione reale a ciò che si predicava. L’incipit del brano non è casuale: “Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli”. È lo stesso che precede il discorso della montagna. Come se l’evangelista volesse far notare a chi lo legge che chi desidera vivere lebeatitudini deve evitare di seguire scribi e farisei. È il motivo non è solo da ricercarsi nell’incoerenza (“perché essi dicono e non fanno”) ma anche nella provenienza di ciò che dicono (Mc 7, 7-8) perché insegnano dottrine che sono precetti di uomini e trascurano il più grande dei comandamenti di Dio: l’amore compassionevole. I farisei e gli scribi appaiono così più mossi da un bisogno di ammirazione, dalla necessità di far colpo e dominare le coscienze che dall’adesione coerente alla dottrina che professano. Ben sapendo che il passaggio dal dominio delle coscienze a quello del portafogli è brevissimo e quasi immediato. Questioni di ieri, questioni di oggi. Quante volte nel corso dei secoli, anche nel cristianesimo, gli uomini religiosi e pii hanno imposto precetti e caricato di pesi inumani la vita di coloro che avrebbero dovuto servire, rendendola più difficile, problematica, a volte con violenze psicologiche e sociali dagli effetti disastrosi e mortiferi. Incredibile poi come si sia arrivati ad attribuirsi perfino titoli e ruoli che Gesù espressamente aveva criticato: guide, padri, maestri, signori e monsignori. Dimenticandosi degli unici titoli che chi aderisce al Vangelo può darsi: discepoli, figli e fratelli. Dell’unica Guida, dell’unico Maestro, dell’unico Signore, dell’unico Padre.

Proprio per questo, le parole “odierne” di Gesù sono più che maiattuali e rappresentano un motivo di rimprovero per tutti coloro che si sentono in diritto di guidare gli altri, dimentichi della comune fragilità rappresentano al contempo sono un segno di speranza per chi, avendo seguito il potere clericale più che il Vangelo, ha pensato male di sé stesso, sentendosi non solo escluso dalla comunità cristiana ma persino dall’amicizia con Dio, credendo erroneamente che qualcuno potesse parlare con granitica autorità e senza errori a suo nome. Tutt’oggi anche nella chiesa, mentre si registrano aperture importanti e si predica la misericordia, il corpus catechetico e canonico che spesso nei secoli è sembrato più importante della Parola stessa, continua a rimanere intatto, condannando ipocritamente omosessuali, divorziati, conviventi, e riducendo ancora a categorie di “serie b” il laicato (ad eccezione di quello obbediente e devoto), e le donne, escluse dal ministero ordinato su cui di fatti si regge tutta la struttura. Ma è per queste categorie, come per tutti gli esclusi, che la Parola odierna rappresenta invece una liberazione capace di risollevare l’anima, restituendola alla benedizione originaria e all’amore incondizionato del Dio che Gesù di Nazareth ci ha narrato e raccontato con le sue parole, i suoi gesti, le sue azioni cariche di amore incondizionato. Credere ad esse nella consapevolezza di essere amati nonostante limiti e incoerenze è umiltà. Trasformare invece il dono gratuito dell’amore del Padre in un premio per finti buoni e apparenti perfetti è esaltazione. Ma sappiamo già come andrà a finire: chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.